Paolo Zelati

Interviste

Tippi Hedren si confessa: ecco come Hitch mi ha rovinato la carriera

Questa intervista è frutto di una splendida giornata (maggio 2012) passata con la divina Tippi Hedren nella sua tenuta di Shambala, nel deserto californaniano.

Partiamo con Shambala: parlami di questa riserva naturale e di come sei arrivata a realizzarla

Tutto è nato dalla mia permanenza in Africa, dove ho girato due film, una sorta di back to back, nel 1969 e 1970. A quell’epoca, infatti, tra l’opinione pubblica si stava diffondendo la preoccupazione per l’ambiente e la consapevolezza che se non avessimo fatto subito qualcosa per preservare certe razze animali, nel 2000 sarebbero sicuramente scomparse. Quindi, insieme a mio marito (che era un produttore) abbiamo pensato che avremmo potuto fare un film su questa tematica. Così abbiamo cominciato a confrontarci per cercare l’idea giusta: avremmo dovuto concentrarci su un singolo animale, sul concetto di razza, o cos’altro? La risposta al nostro dilemma, però, arrivò abbastanza alla svelta non appena ci recammo ad un photo safari in Mozambico. Durante un’escursione siamo arrivati di fronte ad una casa abbandonata che era stata occupata da un intero branco di leoni, probabilmente il più grande dell’intera Africa; immaginati un gruppo di 25-30 leoni tutti che vivevano in quella casa: fu uno spettacolo incredibile, indimenticabile. Quella visione ci diede il soggetto per il film: il set africano era fantastico ed i leoni erano gli animali giusti, dato che affascinano, da sempre, la maggior parte delle persone. Così, tornati a casa ci siamo messi a scrivere la sceneggiatura, immaginando scene che vedevano la partecipazione contemporanea di 10-15 leoni, proprio come li avevamo visti in Africa. Eravamo pronti ad usare degli animali addestrati di Hollywood e pensavamo di girare il film in 9 mesi. Invece, quando abbiamo fatto leggere lo script agli addestratori, quelli ci hanno riso in faccia spiegandoci che il leone ha un innato senso di sopravvivenza che lo spinge a combattere e che la cosa sarebbe stata troppo pericolosa; in pratica ci dissero che se volevamo farlo dovevamo usare dei nostri animali. E quella risposta, con il senno di poi, cambiò la mia vita, in quanto nel giro di poche settimane avevamo 5 piccoli leoni che vivevano con noi nella nostra casa di Sherman Oaks. La cosa, però, era illegale ed un giorno, un vicino vide la testa di un leoncino che spuntava dalla staccionata e chiamò la Protezione Animali. Cercando di spiegare al funzionario che stavo preparandomi per un film e che avevo bisogno di conoscere bene quegli animali, feci la promessa che non sarebbero rimasti a lungo; allora il funzionario mi ha guardato e ha detto: “Ci puoi scommettere che non staranno a lungo: hai 24 ore per toglierli dal giardino!” (ride).


Dimmi una cosa, se ho capito bene la maggior parte dei leoni e delle tigri che hai qui a Shambala, li hai salvati da famiglie americane che li avevano comprati come cuccioli da regalare ai propri figli…è possibile?

Possibilissimo ed anche esatto: sono quasi tutti leoni nati negli Stati Uniti e venduti come cuccioli da compagnia. E si tratto di un business enorme… …è veramente pazzesco: ma questi cialtroni non sanno che poi i leoni crescono??? Questa è una domanda che mi fanno molto spesso…(ride) e la risposta, triste ma vera, è che, no, molti non lo sanno e altri semplicemente non ci pensano. Se ci pensi, però, è la stessa cosa anche con i cani: quanta gente compra un cane come animale domestico senza nemmeno informarsi sulla razza, sul quanto crescerà o sulle esigenze dell’animale?...ecco perché poi i rifugi sono pieni di cani abbandonati. Per quanto riguarda le tigri ed i leoni, penso che subentri un’altra leggenda a confondere le acque, ovvero quelle che dice che se gli animali selvaggi vengono cresciuti in cattività, si possono ammaestrare…cosa assolutamente falsa.

Sbaglio oppure ho visto anche una vasca con dei pesci…non dirmi che salvi anche i pesci abbandonati!

(ride)…sì invece! La vasca che hai visto contiene diversi pesci, anche pesci rossi che, se lasciati vivere in un ambiente consono, crescono molto anche di grandezza. Sono pesci che abbiamo salvato da diverse situazioni di disagio tipo acquari ecc. Una volta al mese c’è una donna che ce ne porta di nuovi.

Parliamo ora del film che poi, alla fine, siete riusciti a fare: Il Grande ruggito…

Il Grande Ruggito è fondamentalmente qualcosa un po’ più sviluppato rispetto al classico documentario, ma si potrebbe definire anche come action-adventure movie. Ovviamente si tratta di un film didattico circa il mondo dei leoni, ma contiene anche scene molto spettacolari che hanno attirato l’attenzione del pubblico. Ti assicuro che nessuno riuscirà mai più a fare un film con 10-15 leoni insieme in una scena. Invece dei nove mesi previsti, le riprese durarono addirittura cinque anni, a causa di tutta una serie di problemi ed imprevisti. Per esempio, nella prima scena che realizzammo, fu mio marito a dover interpretare il ruolo dello scienziato perché non nessun attore di Hollywood avrebbe mai accettato: troppo pericoloso. Infatti, il primo giorno delle riprese il primo leone che avevamo allevato, ferì mi marito alla testa. Dopo le necessarie cure del caso, quando eravamo pronti a girare, ci accorgemmo che, nel frattempo, le foglie erano cadute dagli alberi e quindi la scena non avrebbe più corrisposto al girato precedente….poi finimmo i soldi, altre persone si fecero male, tra le quali mia figlia e anche il nostro cameraman Jean De Bont…insomma successe un po’ di tutto…

E sul quel set hai imparato a conoscere bene i leoni?

Certo, e proprio per quello ho cominciato ad interessarmi al business degli animali esotici: non riuscivo a capacitarmi che negli Stati Uniti venissero venduto ovunque ed a chiunque fosse disposto a pagare: nessuna legge a riguardo. Una cosa che ho imparato è che se tu tieni un leone in casa, non si tratta di capire se avverrà un incidente, bensì quando succederà! Animali che io ho allevato fin dalla nascita e ai quali ho dato il biberon, non appena hanno potuto, hanno tentato di uccidermi…sono fortunata ad essere viva, ma un’altra cosa certa è che, quando succedono queste cose, non è mai colpa loro: è una questione di istinto. E comunque, nel periodo in cui giravamo il film, siamo diventato un importante punto d’appoggio per il California Department of Fish and Game; Se trovavano un animale maltrattato o importato abusivamente ecc. ci chiamavano subito. La stessa cosa valeva anche per il Department of Agricolture; se trovavano animali da salvare ci avvisavano. Quindi, in definitiva, la nostra riserva divenne una sorta di santuario, situato fuori dai limiti cittadini ed in cui era vietato qualsiasi tipo di commercio legato agli animali.

Un commercio di grandi proporzioni mi dicevi…

Enormi proporzioni! Non puoi averne idea. Contemporaneamente alla creazione di Shambala, ho cominciato ad interessarmi alle leggi che dovrebbero sanzionare gli abusi e regolamentare l’ingresso degli animali nel nostro paese e ho scoperto molte cose sbagliate e non mi capacitavo che il Governo americano non facesse nulla per porre fine a questa follia. Per cui ho collaborato alla stesura di una mozione per una nuova legge e l’ho consegnata al nostro rappresentante al Congresso perché ci desse una mano; lui ha accettato e mi ha portato anche a testimoniare. Per non complicare le cose non ho puntato sulla crudeltà inflitta agli animali nati in cattività e sfruttati da circhi ecc., ma mi sono focalizzata sul problema della sicurezza pubblica. Nel corso della mia testimonianza ho riportato 18 incidenti recenti, partendo da un bambino di 8 anni che, in Texas, si è visto mozzare un braccio dalla tigre di suo zio, per arrivare alla morte di una bambina di 4 anni, morsa al collo mentre aiutava il padre a pulire la gabbia della loro tigre. Dopo aver parlato per oltre un quarto d’ora, mi sono rivolta al Congresso e ho detto: “voi siete gli unici che potete fermare questa follia!”. Così, il documento è stato approvato all’unanimità, Bush l’ha firmato nel dicembre 2003 ed è diventato il Captive Wild Animal Safety Act. Non ha risolto completamente il problema (il mio obiettivo era quello di impedire completamente le nascite in cattività) però lo ha ridotto perché impediva agli allevatori di spedire gli animali in giro. Successivamente abbiamo preparato un’altra mozione che mirava ad impedire sul nascere l’allevamento di animali esotici per possesso personale o motivi commerciali e l’abbiamo data al rappresentante del Congresso. Lui mi ha convocata e mi ha detto che se non avessi tolto dalla lista delle proibizioni il Circo, il documento non sarebbe passato…

Una sorta di ricatto…

Esatto. E il problema ha un nome: Kenneth Feld, il padrone della Ringling Bros., del Circo Barnum & Bailey e di tutti i più grandi show di Las Vegas. Quest’uomo vive a Washington e conosce tutti i senatori…ed è praticamente a capo di una lobby. Ed è così ricco che si compra quello che vuole ed è impossibile batterlo. Nello stesso tempo, non potrei mai avvallare la crudeltà dei circi, anche se potrei ottenere altri risultati. Ho capito che devo avere pazienza e nel frattempo non mi sono mai tirata indietro e ho sempre detto apertamente quello che penso di Feld. Nel 2003, in occasione della prima mozione, sono stata minacciata di morte e ho ricevuto lettere anonime in cui mi minacciavano di introdurre virus pericolosi a Shambala e di avvelenare l’acqua…

Sono allibito: mi stai parlando di avvertimenti mafiosi…

Ed è quello che sono: è una lobby potentissima, ma non sono nemmeno troppo intelligenti visto che mi hanno lasciato delle minacce registrate sulla mia segreteria telefonica. Ovviamente ho avvertito le autorità e mi hanno assegnato degli agenti che vivevano qui con me…per un periodo mi sono sentita come una prigioniera in casa mia., controllata in tutto. Mr feld, comunque, deve essere fermato: è stato denunciato e processato tante di quelle volte per abuso sugli animali che ho perso il conto…peccato però che non sia mai stato condannato perché si è sempre comprato il giudice…bada bene: non la giuria…il giudice stesso. Il business criminale dietro agli animali esotici, negli Stati Uniti, è terzo solo dopo Armi e Droga..

E mentre combatti queste battaglie come la mantiene Shambala?

Ci manteniamo solo grazie alle donazione private (comprese le mie) che arrivano alla mia Fondazione; io non sono mai stata pagata, a nessun livello, per questo lavoro. Ed in questo periodo, con l’economia che stenta, è molto difficile…

Immagino…cambiamo argomento e partiamo dall’inizio della tua carriera: raccontami di come sei arrivata a fare i primi lavori da modella per poi arrivare alla recitazione

Da piccola ero veramente molto timida e paurosa, stavo sempre attaccata alle sottane di mamma e pensavo che non me ne sarei mai andata da casa. Vivevamo in una piccola città chiamata Lafayette, in Minnesota, durante la Depressione; mio padre aveva un negozio ma, visto che era di buon cuore, non riusciva a negare di far credito alla povera gente, per cui, in breve tempo, fallì e dovemmo trasferirci ad Minneapolis. Una cosa che mi ricordo dell’epoca, bizzarra ma significativa, è che un giorno, mentre andava a scuola, ho preso la decisione di non mangiarmi più le unghie; cosa che in effetti feci (ho smesso anche di fumare in questo modo) e quella fu la prima decisione che presi in modo autonomo e che mi diede fiducia in me stessa facendomi…cambiare. La mia passione all’epoca era il pattinaggio sul ghiaccio: avrei desiderato così tanto entrare nelle squadre di prestigio! Purtroppo, però, i miei genitori non avevano soldi per mandarmi a scuola e così decisi di accompagnare e di guardare da fuori due mie amiche; me ne stavo lì e assimilavo tutto con attenzione poi, tornavo a casa e correvo ad esercitarmi da sola su di un lago ghiacciato vicino a casa. Ero molto determinata…però diversi disturbi fisici mi tennero lontano dai pattini per quasi due anni di fila, cancellando così i miei sogni di gloria.

Quale evento, poi, ti ha spianato la strada verso la tua nuova carriera?

Un giorno, all’età di 17 anni, mentre tornavo da scuola, sono stata avvicinata da una grossa macchina guidata da una donna che ha accostato, mi ha dato il suo biglietto da visita e mi ha detto: “Ti dispiacerebbe chiedere a tua mamma se sabato ti lascia venire giù al Donaldson’s Department Store? Mi piacerebbe farti fare la modella per il nostro fashion show”. Quella donna, fu veramente l’inizio di tutto: ovviamente andai e per tutto l’anno successivo continua a lavorare come modella a Minneapolis. Poi, i miei genitori decisero di trasferirsi in California ed il mio cure andò in pezzi (- lo dice sospirando – n.d.r.). Dovetti abbandonare tutti i miei amici e fu un periodo molto duro. Poi, però, al sole della California continuai a fare la modella, prendendo sempre più fiducia in me stessa, fino a quando non decisi di mandare un mio album fotografico a New York, considerata come la mecca dell’ambiente della moda. Così, quando la grande Eileen Ford, dopo aver visto il mio book, mi disse: “ok, dai vieni”, comprai il biglietto del treno e partii: avevo in tasca i soldi necessari per il viaggio, per mantenermi 3 giorni all’hotel delle ragazze e, nel caso non avessi passato il provino, per il biglietto di ritorno…però ce la feci e fu una grande carriera in cui mi divertii molto e strinsi delle vere amicizie. Anzi, giusto un mese fa, le mie amiche modelle dell’epoca sono venute tutte qui e abbiamo fatto una bel party/rimpatriata in mezzo ai leoni e alle tigri! (ride).

Ma se ti divertivi così tanto…cosa ti ha portato a lasciare le passerelle per passare di fronte ad una macchina da presa?

Beh, erano gli anni Cinquanta, un periodo in cui la televisione si stava diffondendo tantissimo e molte modelle facevano i provini per interpretare i famosi commercial. Lo feci anch’io ed ebbi subito un grande successo nel campo delle pubblicità…ero così in voga che, ad un certo punto, ho potuto prendermi sei mesi di vacanza per andare in giro per il mondo: fu un’esperienza fantastica, avevo 24 anni e la racconto sempre come se fosse stata “la mia personale educazione universitaria”. Nel 1951, poi, mi sono sposata e nel 57 ho avuto la mia bellissima figlia Melanie. Quando lei aveva 4 anni, per poterle concedere una certa indipendenza, decidemmo di lasciare la pericolosa New York e tornammo a Los Angeles dove affittammo una casa molto costosa a Westwood. Purtroppo, però, la mia carriera di modella non funzionava in California e cominciai a preoccuparmi…mi ricordo che pensavo: “Oddio, cosa faccio adesso?! Non so nemmeno battere a macchina!” (ride)…

una cosa che tutti dovrebbero saper fare!

Esatto! (ride). Comunque, mentre mi guardavo in giro, un venerdì 13 di ottobre arrivò questa telefonata dalla Universal con la quale mi chiedevano se volevo essere la donna nella nuova pubblicità della Sego, un latte dietetico. Nello spot recitavo una piccola, ma deliziosa scenetta insieme ad un bambino. Poi, successivamente mi chiesero se potevo presentarmi con delle foto e qualche spot che avevo fatto in passato…e mi ricordo che ne portai alcuni che, soprattutto visti adesso, sono divertentissimi. Quando mi recai all’incontro, nessuno mi disse di cosa si trattava e chi avrei dovuto incontrare, presero il materiale e mi dissero che sarei dovuta tornare il lunedì...

Qualcuno doveva esaminare le tue foto?

…beh…credo (ride)…non l’ho mai saputo. E comunque, il lunedì mi presento alla Universal e di nuovo comincio ad incontrare un sacco di executive, i quali non mi volevano dire chi c’era dietro la cosa…divenne una sorta di gioco, di indovinello. Il martedì mi chiedono di andare alla MCA dove mi attende un agente che, finalmente, mi dice: “Signorina Hedren, Alfred Hitchcock vuole farla firmare un contratto personale e se lei ne accetta i termini, la porto nell’altra stanza ad incontrarlo”. Io, ovviamente, non ci potevo credere! (ride). Ho letto il contratto e non è che fosse proprio un granché…andava benino…

Ti riferisci all’aspetto economico?

Si, certo. E comunque accettai e mi portarono da lui: aprirono la porta e lo vidi, seduto, con il classico sguardo compiaciuto e le mani incrociate sullo stomaco. Così cominciammo a parlare di tutto: cibo, vino, viaggi, macchine…di tutto tranne che di lavoro. Poi mi presentò alcune persone della sua squadra, tutte molto gentili..e quello fu l’inizio di tutto. Poi mi organizzò un incontro con il direttore della fotografia Robert Burks, lo scenografo Bob Boyle e la costumista Edith Head. Poi seguirono diversi screen test ed io ero sempre convinta che avrei fatto delle televisione visto che praticamente non avevo una vera e propria esperienza in quanto a recitazione…

Hitchcock ti disse come mai lo avevi colpito così tanto una volta che ti ha visto in quello spot della Sego?

Sì, gli era piaciuta la mia espressività e pensava che avessi del potenziale. Inoltre gli piaceva molto il mio aspetto fisico…durante i tre giorni di screen test mi fecero fare delle scene tratte da Rebecca, Notorius e Caccia al Ladro, ovvero dovetti interpretare tre donne completamente diverse fra loro. Come attore di supporto chiamarono Martin Balsam. Una volta conclusi i test me ne andai a casa e pensavo fosse tutto finito. Invece, due settimane dopo, ricevetti un invito a cena e Hitchcock, una volta al ristorante, mi mise davanti un pacchetto regalo marcato Gump’s, un negozio molto elegante di San Francisco. Quando lo aprii trovai una bellissima spilla d’oro che rappresentava tre uccelli mentre spiccano il volo; allora io guardai Hitch che mi disse: “Ti vogliamo nei panni di Melanie Daniels nel film Gli Uccelli”. Io lo sapevo che avrebbero fatto quel film, conoscevo Ethan Hunter e lo vedevo sempre al lavoro su quella sceneggiatura…

Quindi, solo in quel momento hai saputo che avevi fatto il provino per Gli Uccelli?

Sì. E non solo non lo sapevo, ma non me lo sarei mai aspettato! Così, mi ricordo che quasi svenni, guardai Hitch e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Anche gli altri committenti si commossero…Hitchcock, invece, era come al solito compiaciuto di se stesso (ride).

Prima mi accennavi qualcosa a proposito del tuo coinvolgimento in ogni aspetto del film, non solo come attrice: dimmi di più

Beh, io non ero proprio nuova all’esperienza sul set e non ero intimorita dalla macchina da presa, però tutto il procedimento di filmmaking era per me una novità e volevo capire tutto. Ora, come forse sai, Hitchcock amava lavorare sempre con un gruppo di persone fidate, che lo seguivano film dopo film…si potevano considerare quasi come una persona sola, un gruppo veramente affiatato…e ti assicuro che era una cosa magnifica da vedere ed anche molto rara. Grazie a questo tipo di ambiente io ho potuto partecipare a tutti i processi creativi dietro a Gli Uccelli e ho conosciuto il cinema. Hitchcock, poi, non era solo il mio regista, ma diventò il mio insegnante di recitazione; mi aiutò ad imparare lo script, a sviluppare il personaggio, a collegare Melanie con gli altri personaggi, soprattutto ad interagire con Rod Taylor e la madre, capire il loro rapporto ed il mio ruolo in esso. Queste cose non le impari facendo pubblicità ed io non avevo mai avuto l’opportunità di prendere lezioni di recitazione…

Una cosa che si dice, è che l’aiuto di Hitchcock, nei tuoi riguardi, non si fermava alla costruzione del personaggio, ma sconfinava anche nella vita privata…ho letto che ti ordinava perfino come dovevi tagliarti i capelli…è vero?

…in realtà non molto. Io ero una modella ed ero particolarmente attenta ai miei vestiti e all’acconciatura…lo so che era Hitch che metteva in giro queste voci…ma non erano vere e la cosa mi faceva incazzare parecchio! (ride)…comunque, una volta iniziate le riprese, ho cominciato a notare come lui mi guardasse fisso, mi seguiva con lo sguardo ovunque e, dopo un po’, la cosa divenne un pochino inquietante. C’è da dire, però, che al tempo non ero più una ragazzina; avevo vissuto a New York, nel campo della moda, e avendone viste di tutti i colori, avevo imparato a gestire persone e situazione al meglio. E così feci con Hitch…

Però la tua strategia non durò in eterno…

No, infatti. Verso la fine delle riprese di Marnie non ne potevo veramente più. Hitchcock tentava di controllare ogni aspetto della mia vita…e la parola chiave, bada bene, è “tentava”; infatti non ci è mai riuscito. Ma a quel punto volevo uscire dalla schiavitù di quel contratto…si trattava del contratto standard che mi legava a lui ed alla casa di produzione per sette anni…avremmo dovuto lavorare insieme ancora tanto, troppo…e non me la sentivo più.

Quale sarebbe stato il progetto immediatamente successivo?

Avremmo dovuto cominciare la produzione di Mary Rose, tratto dalla piece di JM Barrie e si preannunciava come un film molto bizzarro, tetro e dark…però non potevo più sopportare quella situazione e decisi che non l’avrei fatto. Hitchcock mi disse che dovevo farlo, anche perché avevo una figlia da mantenere ed i miei genitori che diventavano anziani ecc. Allora io gli ho risposto: “E non pensi a me? Come posso accettare una situazione che mi rende infelice?!”. Hitch mi ha guardata e ha detto: “Guarda che ti rovino la carriera”. E l’ha fatto. Ha continuato a pagarmi 600$ alla settimana per quasi due anni, durante i quali non ho potuto recitare. Il fatto è che dopo aver fatto Gli Uccelli e Marnie ero un’attrice, per usare un’espressione hollywoodiana, “hot”, tutti mi volevano ma il contratto mi impediva di essere “a disposizione”…fu una cosa veramente cattiva.

E ad Hollywood, si sa, la gente dimentica abbastanza alla svelta…

Ohhh, non sai quanto (ride). Praticamente scompari… La cosa buffa è che Hitchcock, all’epoca, aveva consegnato il mio contratto alla Universal e, dopo quasi due anni di immobilità, mi chiamarono per fare uno show televisivo che però a me non piaceva. Allora, uno degli executive mi disse: “Guarda che se non lo fai ti annullo il contratto!”… “Perfetto!” gli ho risposto (ride)…così, una settimana dopo la mia “liberazione”, venni chiamata da Charlie Chaplin per La contessa di Hong Kong. E’ stato bellissimo poter lavorare con i due più grandi geni inglesi dell’industria del cinema e credo proprio che io sia stata l’unica attrice ad aver avuto questa opportunità.

Se ti chiedessi di paragonare il tuo lavoro con Hitchcock e con Chaplin, cosa potresti dirmi?

Come prima cosa ti direi che erano due persone completamente diverse. Hitchcock aveva un controllo assoluto su tutto, programmava minuziosamente ogni minima cosa e si aveva la sensazione che tutto fosse finito già il primo giorno di riprese. Era talmente sicuro di se stesso e conosceva così bene ogni singola scena, che non girava mai nemmeno i “cover shots” e lavorava sempre e solamente dalle 9 alle 5, non un minuto di più…la sequenza di fine giornata era chiamata “the Martini shot”, perché potevi contare che Hitch non avrebbe sforato (ride). Chaplin invece era…cioè, per me il film fu guardare Charlie all’opera. Ti giuro, ci sarebbe dovuta essere una troupe, tutto il giorno, solo su di lui. Quando doveva spiegare una scena, per esempio, veniva sul set e la illustrava interpretando da solo tutti i personaggi: Sofia Loren, Brando, me…era incredibile! Tutti noi lo guardavamo incantati, consapevoli che stavamo assistendo ad un pezzo di Storia del Cinema in svolgimento. Poi, una volta finita la sua interpretazione, ci guardava e diceva: “Visto? Semplice! Adesso fatelo voi!” (ride).

Torniamo a parlare di Gli Uccelli ed in particolare della scena in cui tu rimani intrappolata e gli uccelli ti attaccano: se non mi sbaglio ti sei ferita ad un occhio?

La prima volta che ho letto la sceneggiatura, mi sono rivolta ad Hitchcock e gli ho chiesto cautamente: “Mr Hitchcock, come ha intenzione di realizzare quell’ultima scena in cui io vengo attaccati dagli uccelli?” (ride). Lui mi ha risposto secco: “Oh, useremo degli uccelli meccanici, proprio come faremo con la scena in cui sono coinvolti i bambini”. Però, non contenta, io ho aggiunto: “Scusi un’altra cosa: ma perché Melanie, sapendo cosa stava succedendo agli uccelli e avendo visto gli altri attacchi, decide di andare di sopra?”. Lui, allora, senza scomporti e guardandomi a malapena mi disse: “Perché glielo dico io” (ride).

Questa cosa mi ricorda un aneddoto che ho letto a proposito di Marnie, in cui tu ti lamentavi con Hitchcock a proposito del rapporto tra la frigida Marnie e Sean Connery…

…(ride), lo so a cosa alludi (ride…Il discorso era che per il mio personaggio, Marnie, gli uomini erano praticamente invisibili; non le interessavano per niente e voleva semplicemente che la lasciassero stare. Hitchcock passò dei mesi a setacciare Hollywood per trovare l’attore giusto per il personaggio di Mark Rutland, ma non era mai soddisfatto. Finalmente, un giorno viene da me e mi fa: “Ho trovato il tuo Mark”, io gli rispondo: “Bene, e chi è?”, e lui: “Sean Connery”. Allora io lo guardo allibita e rispondo: “Stiamo parlando dello stesso Sean Connery che ha appena fatto Licenza di uccidere? Lo stesso Sean Connery che compare questo mese sulla copertina del Time come l’uomo più sexy del mondo?!!”. Lui allora fa cenno di sì con la testa e io continuo: “Mr Hitchcock, forse si ricorderà che io devo interpretare una donna completamente frigida…ora, come pensa che possa farlo recitando con lui?!”. Hitch allora mi guarda negli occhi e dice: “Si chiama “recitare”, mia cara” (ride).

Però poi ci devi essere riuscita visto che consideri Marnie il tuo film preferito tra i due fatti con Hitch; perché?

Sì, Marnie è il mio preferito, soprattutto perché interpreto un personaggio molto complicato ed interessante…l’ho adorato. Ed ho letto il libro almeno una decina di volte…

Trovi il libro molto diverso dal film?

Non direi, sono molti simili; solo che, ovviamente, nel libro c’è molto più materiale.

La mia scena preferita è quella in cui rubi dalla cassaforte. Raccontami di come Hitchcock l’ha diretta; immagino che avesse pianificato ogni minimo dettaglio…

Oh sì, ci puoi scommettere. Hitch voleva vedermi soffrire veramente in quella scena: Marnie vuole i soldi a tutti i costi, ma c’è qualcosa che la frena dal prenderli, ovvero i sentimenti che prova per Mark, un uomo che sta tentando di salvarla dalla misera vita che sta vivendo. E’ una scena emotivamente molto forte

Entrambi i tuoi film con Hitchcock hanno molto a che fare con la psicanalisi. Per esempio: negli anni ho letto ogni sorta di interpretazione di Gli uccelli…tu, all’epoca, non hai mai discusso con Hichcock a proposito del sottotesto del film, del famoso secondo grado di lettura?

Sì, ne abbiamo parlato eccomi. Ne discutevamo proprio nei momenti in cui lui mi doveva aiutare a capire meglio il personaggio di Melanie, con tutte le sue paure, desideri e bisogni. Quello che succede si presta alle interpretazioni psicanalitiche…anche se forse non c’è n’è una giusta ed una sbagliata…

Melanie sembra quasi una strega medioevale che però, invece di portare la sua maledizione solo sula comunità, sembra più interessata a sconvolgere la classica famiglia americana, la “nuclear family”…John Carpenter ha “preso in prestito” questa componente strutturale di Gli Uccelli per The Fog, e anche lì funziona alla perfeziona.

Esattamente, Melanie è senza ombra di dubbio una minaccia alla quiete famigliare e va a turbare in modo insanabile il rapporto madre-figlio che lega Rod Taylor a Bodega Bay.

Quindi si può dire tranquillamente che tu, mentre giravi il film, eri completamente conscia di tutti questi significati?

Certo, completamente. Ed è una cosa molto utile, che ti aiuta a recitare nel modo più completo possibile. Comunque, tornando alla scena degli uccelli, ci trovavamo verso la fine delle riprese ed io ero seduta in camerino quando entra l’addestratore di uno dei corvi che avevamo sul set e comincia a farlo volare nella stanza; era veramente molto carino, si appoggiava sul tavolo, sulla mia spalla ecc. Poi ad un certo punto è entrato Jim Brown, l’aiuto regista, e faceva di tutto tranne che guardarmi in faccia. Così, ho aspettato qualche minuti e gli ho chiesto: “C’è qualche problema Jim?”, e lui, tutto d’un fiato: “Gli uccelli meccanici non funzionano. Useremo uccelli veri per la scena.”, e poi è sparito nell’altra stanza. Così, ho raccolto dal pavimento la mandibola che mi era caduta (ride)…e sono andata sul set. Ho capito subito che non avevano mai avuto nessuna intenzione di usare degli uccelli meccanici: intorno al set, infatti, avevano costruito una gigantesca gabbia, alla quale erano collegate tre voliere piene di corvi, gabbiani piccioni. Nella stanza c’erano un paio di addestratori che, per cinque giorni – tanto ci mettemmo a girare la scena – non fecero altro che, letteralmente, lanciarmi addosso degli uccelli. Alla fine delle riprese ero talmente esausta che ho dovuto, per forza, riposarmi una settimana intera.

E durante questi cinque giorni terribili, Hitchcock ti ha aiutato in qualche modo?

Ovviamente no! (ride). Se ne stava nel suo ufficio tutto il giorno e veniva sul set solo pochi minuti prima di girare. Non mi ha mai parlato, rincuorato o nulla di tutto ciò. Io credo che si sentisse…se ci vuoi credere…un pochino in colpa (ride). La mia parrucchiera, cercando di proteggermi al meglio, mi aveva messo delle bene sul corpo, alle quali erano collegati degli elastici che si attaccavano al vestito. L’ultimo giorno delle riprese, ero distrutta e girarono una scena con i corvi in cui io stavo ferma e loro li facevano volare vicino al mio corpo, quasi a sfiorarmi con le zampe. Ad un certo punto però, alle 3 del mattino, uno dei corvi mi è quasi colpito ad un occhio e non ce l’ho più fatta: mi sono messa a piangere e non ne volevo più sapere.

Parliamo ora di una delle sequenze più controversie del film: la fine aperta. Molti la adorano, altrettanti, però, sia pubblico che critica, l’hanno odiata. Vorrei sapere la tua opinioni in proposito e se esistevano altri finali alternativi scritti o magari girati.

No, non abbiamo mai girato nessun finale diverso da quello ufficiale. Tuttavia, un giorno parlai con Hitchcock della fine del film e gli dissi che la mia preferita sarebbe stata vicina a quella del libro della Du Maurier, in cui loro lasciano la casa, salgono in macchina e guidano fino al Golden Gate per trovarlo completamente coperto di uccelli. Poi la scena si sposta e si vede che anche la Tour Eiffell, il Colosseo, il Cremlino, le Piramidi e la Statua della Libertà sono completamente coperti di uccelli. L’ho sempre pensato come un grandissimo finale ma sarebbe stato anche terribilmente costoso da realizzare all’epoca…senza CGI

Cosa ti ricordi degli effetti speciali usati sul set?

Oh, molti di essi erano così divertenti! E oggi mi diverto ancora di più a parlarne pensando a come sarebbe facile fare le stesse cose con i mezzi contemporanei. All’inizio, per esempio, quando vengo colpita in testa da un uccello al porto di Bodega Bay, non c’era nessun uccello: Hitchcock mi dava semplicemente un segnale e io dovevo fare il gesto con la testa. Poi, per completare l’effetto, abbiamo spedito la barca agli studi della Universal per girare la scena da far coincidere. E’ stato così divertente! (ride)…avevamo un uccello finto appeso ad un filo sopra la barca, e dietro c’era un un tecnico che aveva due cilindri, uno pieno d’aria e l’altro di sangue finto. Poi, la mia parrucchiera ha inserito due tubi di plastica nell’acconciatura, sopra i quali aveva attaccato un pezzo di parrucca, modellato con molta lacca. Quindi, una volta che tutto era stato preparato esattamente come nella scena che avevamo girato con la barca in acqua – tutto doveva combaciare alla perfezione – Hitchcock fece partire l’uccello finto, io feci il movimento ed il tecnico fece alzare i miei capelli ed uscire il sangue finto. Fu fantastico! Tutto funzionò perfettamente e dopo il ciak eravamo tutti esaltati. Poi, ti ricordi la scena della cabina telefonica?

Certo, quando tu sei dentro e gli uccelli la colpiscono da fuori?

Esatto. Peccato che non si trattasse di quel “vetro speciale resistente agli urti” di cui mi avevano parlato e dovetti passare un intero pomeriggio a farmi togliere piccoli pezzi di vetro dai capelli e dalla faccia. Un altro ricordo particolare è legato alla scena in cui i gabbiani attaccano i bambini alla festa. L’addestratore di uccelli, il grande Ray Berwick, aveva tre gabbiani sul braccio e, a turno, in modo circolare, li doveva far volare, andare in picchiata sui bambini e tornare sul braccio: i primi due lo fecero alla perfezione, il terzo gabbiano, invece, è scappato. La cosa sarebbe potuta essere anche divertente se non fosse che i gabbiani, per impedire incidenti con i bambini, avevano il becco legato. Ray, quindi, andò da Hitchcock dicendo che doveva lasciare il set per cercare il gabbiano che, altrimenti, sarebbe sicuramente morto di fame. Così si mise a girare per la baia e dopo qualche ora lo trovò, tagliò il cavo e lo liberò…una scena che non dimenticherò mai.

Il lavoro di Ray ti aiutato nel corso delle riprese?

Assolutamente…e poi devo comunque ammettere che io, su quel set ero facilitata visto che adoro gli animali e ho un debole per gli uccelli. I corvi in particolare li trovo bellissimi ed intelligenti. Pensa che qui a Shambala abbiamo una famiglia di corvi che ormai conosciamo e che hanno persino imparato quali sono i leoni e le tigre dai quali possono rubare un po’ di cibo e quali, invece, quelli che non è il caso di disturbare (ride).

Parlando di animali…raccontami qualcosa a proposito della scena in cui uccidi il cavallo in Marnie

Adoravo quel cavallo e lui adorava me, era grosso e di un nero scintillante. Pensa che alla fine delle riprese avrei dovuto portarlo a casa con me…poi però, a causa del mio litigio con Hitch, non se ne fece più niente. Nella scena in cui gli sparo per porre fine alla sua sofferenza, il cavallo non era nemmeno sul set e quindi, per entrare nell’atmosfera, ho pensato a quando il mio cane è morto, un’esperienza che mi aveva segnata profondamente.

Molte fonte critiche indicano Marnie come uno dei film più difficili e personali di Hitchcock: come te lo ricordi sul set?

Sì, Marnie è sicuramente stato un film difficile e particolare per lui. C’è chi parla di una componente autobiografica…che non mi sento di negare. D’altronde, nei personaggi di Hitchcock c’è sempre stato molto di lui, anche a causa del suo metodo di lavoro, sempre molto partecipe e vicino agli sceneggiatori. Ed in Marnie, se ci pensi, il personaggio maschile non è meno disturbato di lei; sembra che abbia tutto sotto controllo, ma poi sviluppa questa sorta di ossessione per Marnie.

Come ti sei preparata per la scena finale, in cui ti sblocchi dal trauma e parli con voce da bambina?

Ad essere sincera, non ho nemmeno mai capito come sono riuscita a fare quella scena, ad entrare in parte in quel modo, regredendo all’infanzia…non so cosa dirti, fu puro istinto...credo

Dopo il litigio con Hitchcock, quando è stata l’ultima volta che avete parlato?

Fu a Londra, in occasione di una cosa organizzata dalla Universal e me la ricordo come un’esperienza alquanto spiacevole. Però, una volta, Peggy, la sua assistente con la quale ero rimasta amica, mi disse: “Sai, Hitch non si è mai ripreso dalla rottura, non ti ha mai dimenticata”. E la cosa mi sembrò così triste: io adoravo lavorare con lui, era così brillante, intelligente e completamente votato alla causa del cinema…ma fu lui a porre fine a tutto quanto, non io. E lo feci semplicemente per accontentare le sue nevrosi di “controllo assoluto”…

Ora però, divento morbosamente curioso: sei sicura che si trattasse solo di nevrosi e non magari un innamoramento non corrisposto?

Guarda…molte persone mi hanno fatto la stessa domanda…e ti posso dire che non posso avere la certezza assoluta a proposito dei suoi sentimenti; l’unica cosa che so è che se tu ami qualcuno, non puoi farlo soffrire nel modo in cui lui ha fatto soffrire me.

a meno che non si tratti di un tipo d’amore molto più vicino all’ossessione…

Certo…e infatti torniamo proprio lì: era ossessionato, senza ombra di dubbio. E lasciatelo dire: è una cosa terribile essere l’oggetto dell’ossessione di qualcuno se tu non sei interessata minimamente alla cosa. Fu una situazione tragica, non c’è un altro modo per definirla.

Come ultima domanda, vorrei sapere se nel corso della tua carriera c’è stato qualche film o progetto che avresti voluto fare ma che poi è sfumato

No, non uno in particolare. Ma quello che mi sarebbe sempre piaciuto fare da morire sono le commedie sofisticate del tipo di quelle interpretate da Katharine Hepburn…chissà, forse faccio ancora in tempo (ride)






© Paolo Zelati - All rights reserved

Credits   |   Privacy Policy