Paolo Zelati

Recensioni

La casa di Jack

"The House That Jack Built", Lars Von Trier, 2018, horror. Recensione pubblicata su La Voce di Mantova, 2/3/2019

Il cinema di Lars Von Trier non conosce compromessi, non lascia spazio all'indifferenza e, proprio come succede al suo autore, o lo si ama visceralmente o lo si detesta, con tutto il cuore. A prescindere da qualsiasi opinione personale rimane il dato oggettivo che vede il regista danese imporsi come uno degli autori più originali, istintivi e geniali degli ultimi trent'anni.

Il cinema di Von Trier non è mai casuale e non deriva solamente da un'esigenza di storytelling, da un'urgenza, insomma, narrativa o, peggio, meramente commerciale ma, al contrario, è un cinema programmatico, studiato, cerebrale e, spesso, catartico. Dalla presunta purezza del “Dogma 95” (un manifesto ricco di regole, schemi e limitazioni di stampo “francescano”) Von Trier è passato al “Cinema Fusion”, ennesima provocazione intellettuale (qui solo Greenaway ha fatto di peggio) in cui cinema, letteratura e teatro avrebbero dovuto fondersi senza soluzione di continuità (operazione piuttosto algida che ha lasciato “Dogville” e “Manderlay” orfani del terzo capitolo). “La casa di Jack” fa parte del nuovo corso della poetica dell'autore danese: il cinema Psicanalitico. Un percorso cominciato con “Antichrist” e proseguito con il meraviglioso “Melancholia” e lo scandaloso “Nymphomaniac”. Von Trier si è sempre identificato con le sue eroine/vittime sacrificali ma negli ultimi film il processo si complica fino a portare in scena dei veri e propri alter-ego del regista in quelle che sono, a tutti gli effetti, sedute di auto-analisi. “La Casa di Jack” è un film in 5 capitoli e un prologo. O meglio, 5 incidenti e una catabasi: il termine che dalla mitologia greca alla Commedia dantesca indica la discesa negli inferi. Per l’intera durata del film, l’azione è accompagnata dalle voci fuori campo, le associazioni e le digressioni di Jack (Matt Dillon) e Virgilio (Bruno Ganz). Nella figura di questo serial killer ossessivo compulsivo alla ricerca sfrenata della perfezione, Von Trier proietta la sua personale Quest/battaglia contro le regole della “morale comune” e risponde a modo suo alle polemiche di Cannes 2011 circa le sue simpatie naziste e la sua ammirazione per Albert Speer. Il film è un sofisticato ed affascinate affresco iperrealista, atemporale, pieno di violenza estrema, humor nero e citazioni che vanno dall'Inferno di Dante a William Blake fino a Glenn Gould e David Bowie. Non per tutti; ma si parla di grande cinema.

VOTO: 8

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