Paolo Zelati

Recensioni

CARGO 200

Recensione pubblicata su "Nocturno", Ottobre 2007

Unione Sovietica, 1984. In una piccola cittadina di provincia i ragazzi (perlomeno quelli che ancora non sono stati mandati in Afganistan a combattere) si divertono come possono: vodka e discoteca improvvisata in un fatiscente caseggiato di campagna. Una sera, una ragazza minorenne, figlia del Segretario regionale del Partito, scompare senza lasciare traccia, l’unico sospetto non si trova. Viene incaricato del caso l’ispettore capo di polizia Zhurov (interpretato da un glaciale ed inquietante Aleksey Poluyan); peccato che a rapire la giovane sia stato proprio lui. Zhurov, psicopatico e dissociato, è convinto che la ragazza sia innamorata di lui e la tiene prigioniera nel suo deprimente appartamento insieme alla madre affetta da demenza senile. Il peggio, però, deve ancora cominciare. Feroce ritratto storico di uno dei momenti più bui nella storia russa, Cargo 200 (il titolo del film che si riferisce al codice con cui venivano chiamate le salme dei soldati morti in Afganistan) descrive lo stato d’animo di un paese allo sbando negli anni in cui L’Unione Sovietica (e tutto ciò che per i russi rappresentava) stava crollando. Un grido di dolore fortemente autobiografico da parte di Balabanov, e una rappresentazione storica concettualmente e cromaticamente senza speranza. Attraverso le storie incrociate di un manipolo di personaggi fortemente rappresentativi, il regista colpisce al cuore e allo stomaco, riuscendo in pieno a raccontare le contraddizioni di una società (la Perestroika sarebbe arrivata da lì a qualche anno) senza punti di riferimento, in cui intellettuali burocrati e “so called” sovversivi perdono tempo a disquisire su una fantomatica Città della Gioia mentre là fuori, nel mondo reale, una generazione di ragazzini veniva mandata in Afganistan per essere macellata. Fortemente distopico ma anche tristemente realista, il grigio e schizoide universo rappresentato da Balabanov parla del passato ma, nello stesso tempo, ironizza su certe “trasformismi” che ancora caratterizzano la società sovietica contemporanea. Non sempre le metafore funzionano; in questo caso sì e fanno anche molto male.

VOTO: 8

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